Il romanzo racconta la storia di una famiglia in un prossimo futuro, quando cioè, l’intelligenza artificiale farà parte della quotidianità di ciascuno. Il protagonista e voce narrante è un ragazzino di 10 anni, sordo, soggetto a scatti d’ira che lo rendono, suo malgrado, aggressivo e violento. Sta imparando a comunicare attraverso il linguaggio dei segni con una logopedista bionda e ricciolina, chiamata Logo. Con lui vivono il fratello tredicenne, un genio dell’informatica (soprannominato QI185 per il suo quoziente intellettivo elevato), la madre che però all’inizio del racconto è vittima di un grave incidente, il padre, anche lui un cervellone di circuiti integrati, e il nonno che si occupa di lombrichi e delle api della mamma. E poi c’è Baco, un essere virtuale, creato al computer dal fratello genietto, che piano piano si insinua nella vita della famiglia creando non poco scompiglio. Ne vedremo delle belle!
Tanti sono i temi che Sartori tratta e sui quali ci invita a riflettere. Innanzi tutto, ci sottopone la questione dell’impatto della tecnologia sull’uomo e l’inarrestabile sviluppo della scienza, della quale rischiamo di perdere il controllo, come succede con Baco e le sue continue impertinenti interferenze. Anche il progressivo disinteresse dell’uomo verso l’ambiente e la sua oramai improrogabile preservazione preoccupa l’autore e la sua apprensione trapela tra le righe del romanzo. Ancora, il piccolo protagonista, così particolare, così diverso ci costringe a soffermarci su cosa significhi essere normale e chi davvero può dire di esserlo. Suscita tanta tenerezza il rapporto che il ragazzino, nonostante la sua apparente aggressività, ha con la mamma ammalata e con il nonno: quanta dolcezza, quanto amore inespresso racchiude nel suo cuore. E questo ci porta all’aspetto forse migliore del romanzo, ovvero il linguaggio adottato dallo scrittore. In una recente intervista che ho letto online, Sartori confessa di avere una vera e propria attrazione per il linguaggio che definisce uno degli aspetti più importanti e problematici dell’uomo. Il fatto che il protagonista sia sordo e che stia imparando ad utilizzare la lingua dei segni, sottolinea l’interesse dell’autore nel dimostrare come la realtà possa essere interpretata in modo diverso a seconda di come la si descrive e a quale linguaggio ci si affida per farlo. C’è quindi tanta incompatibilità tra il ragazzino e il mondo intorno a lui, una frustrazione che lo spinge a diventare violento e a mordere, interpretabile, a suo modo, come un tentativo di comunicare. Il linguaggio adottato dall’autore è ricco di immagini, di metafore, di termini tecnici mitigati però da uno stile semplice e colloquiale, proprio di un ragazzino e il risultato è una lettura scorrevolissima, molto piacevole; mi sono infatti ritrovata spesso ad avere il sorriso sulle labbra e, una volta terminato il libro, a ripensare ai suoi delicati e indimenticabili personaggi.
Insomma, un romanzo da leggere!!
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