Non sono stata in grado di dargli un voto, ecco spiegato il ‘non classificabile’ qui sopra, intimorita dalla grandezza del suo valore e dalla mia inadeguatezza. Non so nemmeno come definire questa piccola opera: è un saggio? una lettera? Forse, un monologo interiore nel quale lo scrittore racconta il dramma esistenziale dell’uomo, le sue contraddizioni e il male di vivere. Certo è che ogni volta che apro il volumetto leggendone alcune parti qua e là, scopro nuovi aspetti, nuovi significati che mi erano sfuggiti la volta precedente. La prima lettura è stata velocissima, data l’esiguo numero di pagine; durante la seconda, ero più concentrata, più riflessiva e ho cominciato a sottolinearne alcune parti. La terza volta ne ho sottolineate altre, la quarta altre ancora, insomma il libretto è ormai praticamente tutto pasticciato.
L’autore si domanda: potrà mai essere soddisfatto il bisogno di consolazione dell’uomo? Il punto di partenza delle profonde riflessioni (per me arduo riassumerle) che l’autore ci propone, parte dal dato di fatto che ognuno di noi, nella precarietà della nostra vita, ha bisogno di consolazione: “Io stesso sono a caccia di consolazione come un cacciatore lo è di selvaggina. Là dove vedo baluginare nel bosco, sparo. Spesso il mio tiro va a vuoto, ma qualche volta una preda cade ai miei piedi. Poiché so che la consolazione ha la durata di un alito di vento nella chioma di un albero, mi affretto ad impossessarmi della mia vittima.”
Senza consolazione, si va avanti solo grazie a quel duello interiore che ci spinge verso la libertà, consci però delle tante schiavitù dell’esistenza. “Il più sicuro indizio della mia mancanza di libertà è il mio timore di vivere.” La consolazione va dunque ricercata nella liberazione personale che “mi sostiene come un’ala verso una meta vertiginosa: una consolazione più bella di una consolazione e più grande di una filosofia, vale a dire una ragione di vita.” Sono moltissime le frasi che mi piacerebbe riportare, data appunto l’intensità del ragionamento di Dagerman ma penso sia meglio che ognuno cerchi e identifichi le proprie, immergendosi nel testo originale.
Il brevissimo racconto “Il viaggiatore” in appendice al saggio è poetico e struggente, una sorta di testamento letterario di un autore che mi riprometto di approfondire e, se non lo conoscete, vi suggerisco.
P:s.: quando Dagerman scrive “Il nostro bisogno di consolazione” nel 1952 ha ventinove anni…
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