Basandosi su diari e testimonianze, l’autore francese ricostruisce la storia del dottor Josef Mengele, uno dei più efferati criminali delle SS, incaricato dal Führer di compiere esperimenti sugli esseri umani. Finita la guerra e sfuggito alla cattura internazionale, nel giugno del 1949 riesce ad espatriare e a nascondersi in Argentina. Fino al 7 febbraio 1979, giorno della sua morte, il terribile medico, ingegnere della razza come si definiva, vivrà il suo esilio da braccato, perseguitato più dalle sue angosce che dalla giustizia. Nonostante gli aiuti economici di cui godeva e della rete di appoggi che ha sostenuto la fuga sua e di diversi altri criminali nazisti, sarà costretto a spostarsi di frequente (dall’Argentina al Paraguay, al Brasile) sempre più solo, sempre più disperato, ma mai, neanche lontanamente, pentito per l’efferatezza delle sue azioni. Nel 1962, si stabilirà in Brasile dove però il confino sarà sempre più faticoso; ancora Mengele non accenna a redimersi, anzi esaspera ulteriormente il suo odio e il suo fanatismo. Ecco cosa scrive Guez: “Se (Mengele) disprezzava gli argentini, odia i brasiliani, incrocio di indiani, africani ed europei, popolo anticristo per un fanatico teorico della razza, e deplora l’abolizione della schiavitù. (…) il meticciato è una maledizione, la causa del declino di ogni cultura.” E ancora, quando nel 1977, verrà raggiunto da suo figlio Rolf che gli chiederà conto di quanto fatto risponderà: “Noi tedeschi, razza superiore, dovevamo agire. Dovevamo inoculare un nuovo vigore per difendere la collettività naturale e garantire il perpetrarsi della razza nordica. (…) Papà, cosa hai fatto ad Auschwitz? (…) Il mio dovere di soldato della scienza tedesca: proteggere la comunità organica biologica, purificare il sangue, sbarazzarlo dai corpi estranei.” Nessun accenno di pentimento, dunque: mi vengono i brividi… La fine ingloriosa del criminale è solo un piccolo, piccolissimo risarcimento per tutte le sue vittime.
Guez non esprime giudizi sull’uomo, benché la sua condanna sia evidente. Con il suo libro, preziosissimo contributo, invita a non dimenticare e nelle ultime righe del libro, ci mette in guardia:
“Ogni due o tre generazioni, quando la memoria si affievolisce e gli ultimi testimoni dei massacri precedenti scompaiono, la ragione si eclissa e alcuni uomini tornano a propagare il male. (…) Diffidenza, l’uomo è una creatura malleabile, bisogna diffidare degli uomini.”
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