Il libro alterna il racconto dell’esperienza personale dell’autore, di come sia riuscito a diventare un maratoneta, delle gare alle quali ha partecipato (la famosa maratona di New York, ad esempio, sogno di tutti i runner) e di come, grazie al suo lavoro di giornalista, abbia potuto conoscere ed intervistare grandi atleti di fama internazionale. Ci spiega il senso di questo sport tanto facilmente accessibile, quanto impraticabile se non a costo di tanta (ma proprio tanta!) determinazione. Covacich ci parla del dolore fisico, dei continui infortuni che capitano sempre più di sovente a chi corre, a chi abusa del proprio corpo, trascurandolo. E allora, perché correre?
Se è vero che in tanti cominciano a correre per dimagrire, (è successo anche a me) e altrettanto vero che molti smettono per noia: non c’è niente da fare, quando si corre, nessuna palla da colpire, nessun punto da guadagnare, non si sa più a cosa pensare e tanta, tantissima fatica. Ma, e vi garantisco che succede, una volta che si è superata la prima fase, quando finalmente ci si è un po’ allenati, correre non è solo affaticamento, si scende a patti con la fatica che diventa il primo mattone sul quale costruire a poco a poco la propria resistenza. Ed è allora che si comincia a correre davvero, ad allungare le distanze e soprattutto ad iniziare ad ascoltare sé stessi, mente e corpo. Andare a correre diventa così preponderante nella quotidianità, al punto che difficilmente ci si rinuncia, l’allenamento diventa un appuntamento fisso della giornata, guai a non uscire almeno quattro volte alla settimana! Subentra la sfida con sé stessi, col tentativo di migliorarsi sempre di più, sempre più chilometri in sempre meno tempo. Diventa una malattia? Forse sì, ed è quello che è successo a Covacich che ha dovuto smettere di fare gare (aveva ottimi tempi sulla maratona!) per una piccola anomalia cardiaca. Ha smesso di correre? Neanche per sogno, “sgambetta” al parco insieme a quelli che lo fanno per dimagrire, ma non smette, quello no!
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