Innanzi tutto, devo dire che è stata una lettura scorrevole e piacevole. Colombati scrive bene, non annoia mai e descrive con precisione ambientazioni e situazioni. La trama è abbastanza avvincente e il racconto dell’io narrante, tra presente e ricordi, è sempre coinvolgente, a tratti appassionante.
Ciononostante, al termine del libro, mi sono ritrovata a pensare che non fosse un romanzo pienamente riuscito. La ragione credo stia nella rappresentazione del protagonista, Jacopo D’Alverno, un benestante proprietario di resort a cinque stelle, a picco sul mare, frequentato dal jet set internazionale che, a seguito di una mala gestione e di un grave incendio, si trova sul lastrico. Viene pure abbandonato dalla moglie che se ne va portandosi via l’amata figlia. Jacopo è dunque in una crisi profonda, sostenuto per fortuna da un caro amico e da un’ex fiamma del liceo, Astrid, di origine norvegese che lo invita a Oslo per assistere al processo contro Breivik, il criminale che l’anno precedente, nel 2011 uccise sessantasette ragazzi sull’isola di Utoya, oltre ad altre otto persone a Oslo. Presenziare al processo, turberà moltissimo il già fragile Jacopo che tenterà di scrollarsi di dosso la tristezza e ritrovare un po’ di serenità andando poi ad uno dei concerti che Springsteen tenne in quei giorni in Norvegia. Un uomo alla frutta dunque, ospite scomodo in casa dell’amico, innamorato non corrisposto dalla moglie, attratto dall’amica dei tempi.. Ma il protagonista costruito da Colombati ha, secondo me, poco spessore, a volte potrebbe sembrare reale, altre immaginario, poco concreto, insomma sfugge al giudizio, non si sa cosa pensare di lui, non durante né tantomeno alla fine del libro quando, comunque, continua a non dimostrare un carattere, una personalità definita. Inoltre, le pagine dedicate al processo sono sì molto intense e interessanti (è una tristissima pagina di storia recente che mi aveva molto turbato, sul blog trovate la recensione di “Uno di noi” il romanzo/verità sulla storia del pazzo stragista), ma sembrano essere posticce, mi sarebbe piaciuto se fossero state più integrate, meglio inserite nello sviluppo della personalità del protagonista. Anche il racconto del concerto mi è sembrato inutile ai fini della storia, un pretesto dell’autore che, da fan sfegatato e grande conoscitore dell’artista (suo il prezioso “Come un killer sotto il sole – Il grande romanzo americano” opera imprescindibile per chiunque ami il Boss, dove Colombati analizza e traduce più di cento canzoni) non può non parlare/scrivere di Springsteen ogni volta gli capiti. (Lo capisco, per carità ma qui mi è sembrato davvero superfluo). Insomma, “Estate” mi sembra un’occasione perduta, un tentativo un po’ confuso e disarmonico per parlarci di un uomo afflitto dai mali del nostro tempo, ma senza riuscirci del tutto. Comunque, se dovessi dargli un voto, gli darei un 7, pienamente meritato.
p.s.: nel video qui sotto la partecipazione di Bruce Springsteen e Little Steven al concerto in commemorazione delle vittime a Oslo il 22 luglio 2012.
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