La vicenda si svolge nel 1982 che però non è lo stesso periodo che abbiamo vissuto noi: nel libro si parla già di internet e di cellulari, i Beatles pubblicano un nuovo disco, l’attentato a Kennedy è fallito e Alan Turing, il celebre matematico, non solo non è ancora morto ma è un personaggio attivo nella storia e, grazie alla sua brillante intelligenza, è colui che contribuisce all’incredibile sviluppo tecnologico narrato da McEwan. Nel romanzo infatti, chiunque disponga di 86.000 sterline, può portarsi a casa uno dei venticinque androidi appena immessi sul mercato. Charlie Friend, appassionato di robotica, rischia il fallimento ma non rinuncia all’acquisto di un Adam, un prototipo di umanoide maschile bellissimo e perfettamente funzionante…. anzi, fin troppo! Tanti saranno gli inconvenienti che la convivenza con questa macchina super intelligente creerà; sarà difficile per Charlie e la sua fidanzata Miranda arginare la presenza di Adam nella vita di tutti i giorni; arduo stabilire chi fa cosa, chi comanda e chi ubbidisce; il robot riesce ad essere migliore del suo padrone in tutti i campi.
Anche in questo romanzo dunque, come in quello di Ishiguro, viene da chiedersi: cosa rende un essere umano tale? Se anche i robot possono provare sentimenti quali l’amore, il rispetto, l’amicizia, come accade ad Adam, dobbiamo considerarli umani? La fantascienza di McEwan entra nel personale, nell’intimo, in una sorta di crisi esistenziale che coinvolge sia Charlie, che fatica a gestire il rapporto con il suo robot, sia Adam, il quale rendendosi conto di essere andato oltre il suo limite e di provare emozioni che non sa come governare, sfiduciato, si arrende.
Non so se l’autore consideri il protagonista della storia Charlie o Adam: a me piace sicuramente di più l’androide, così sensibile, così intelligente, così “umano” nei suoi dubbi personali. Charlie, invece, mi sembra poco coinvolgente, freddo e distaccato, un calcolatore antipatico che approfitta di chi gli sta intorno. È inoltre poco credibile e con lui anche la trama che, a volte, mi ha un po’ deluso e sarò sincera, annoiato: troppi accadimenti affastellati con labili nessi tra l’uno e l’altro, secondo me.
Ma il libro ha il pregio di stimolare riflessioni, di sollecitare tante domande sul nostro futuro tecnologico alle quali, presto, tra poco secondo me, dovremo saper rispondere. Sarà un futuro roseo? Temo che McEwan non lo preveda così: Adam, tra le altre cose, impara, grazie alla sua sensibilità, a comporre brevi poesie, degli haiku per la precisione. L’ultima che declama, suona come una condanna:
L’autunno a noi
promette primavera
a voi l’inverno.
Aiuto!
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