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Venerdì, 29 Gennaio 2021 14:20

TUTTO IL BENE CHE SI PUO’, Rye Curtis, Bompiani

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E’ stato un recente articolo di Tuttolibri (La Stampa) firmato da Beatrice Masini (scrittrice, traduttrice) a convincermi a leggere, appena pubblicata, l’opera prima di un giovane autore americano. Bompiani l’ha proposto come lettura condivisa del suo BookClub, moderato proprio da Beatrice Masini; peccato non abbia potuto partecipare.

Siamo nel 1986. A capitoli alternati, il romanzo racconta due storie: Cloris Waldrip, una settantaduenne ingegnosa e simpaticissima e suo marito (sempre chiamato il signor Waldrip) decidono di concedersi una vacanza. Prendono dunque un aeroplanino da turismo e dal Texas dove abitano da sempre, partono alla volta dei monti Bitterrot, Montana. A causa forse di un errore del pilota, l’aereo precipita e solo Cloris non rimarrà uccisa nello schianto. Il romanzo inizia con la donna che, ormai novantenne e ricoverata in una casa di riposo, racconta l’incidente e la sua avventura sui monti selvaggi e inospitali. Fin da subito sappiamo che si salva dunque, ma le peripezie dei suoi giorni e delle sue notti da dispersa ci preoccupano e rimaniamo in ansia per la sua sorte per tutto il libro.

L’altra storia ha come protagonista, Debra Lewis, trentasettenne ranger forestale della zona, fermamente convinta che i due uomini ritrovati morti non fossero gli unici passeggeri dell’aereo precipitato. Grazie all’aiuto di un improbabile gruppo di volontari del posto, farà di tutto per trovare il presunto sopravvissuto. Nei boschi potrebbe nascondersi anche il temibile maniaco che la polizia sta cercando da anni, un pericolo in più per l’eventuale scampato allo schianto, bisogna salvare il superstite quanto prima. Personaggio molto meno coinvolgente, Debra è abbastanza stravagante, ha una vita privata sregolata ed eccessiva, segnata dalla solitudine, da tanto fumo e da infinite bottiglie di Merlot (passa la voglia di berne, a furia di leggere quanto ne beve lei…). Trovo che ci sia un eccesso di personaggi e dettagli bizzarri nei capitoli dedicati alla Lewis, mi sono piaciuti meno. Le due storie si sfiorano soltanto, ma credo che l’intento dell’autore fosse di parlare di due tipi di donne profondamente diverse per età, per vita vissuta, ma che tutto sommato si somigliano per carattere, entrambe sono caparbie e determinate, intelligenti e volitive. Sappiamo che le sue qualità hanno permesso a Cloris di vivere una vita tutto sommato felice, nonostante l’incidente; la sorte di Debra invece…. non spoilero.

Penso sia chiaro che, per me, la parte migliore del romanzo sia stata la vicenda dell’arzilla vecchietta che, grazie al suo acume, alla sua arguzia e a un pizzico di fortuna riesce a salvarsi, nonostante la foresta le riservi disagi, e molti incontri, alcuni sgraditi, altri decisamente determinanti per il buon esito della sua terrificante avventura. Quante volte mi sono trovata a pensare a cosa avrei fatto io nei suoi panni! Quanta preoccupazione provavo per lei, nonostante sapessi fin dalla prima pagina che ce l’avrebbe fatta! Il personaggio di Debra invece non mi ha convinto, troppo dissoluta, smodata, ho avuto difficoltà ad individuarne le qualità e il lato migliore. Mi sono anche domandata perché l’autore abbia scelto di intrecciare le due storie soltanto in un paio di punti e non le abbia invece interconnesse di più. Secondo me, la protagonista (indimenticabile!) è Cloris, non Debra.

Un ultimo commento sul titolo. In inglese, l’originale, è “KINGDOMTIDE”, una stagione liturgica della Chiesa Metodista che cade in autunno, e coincide col periodo della vacanza dei Waldrip. In italiano invece, spiega la Masini nell’articolo, è riferito al fatto che, da questa esperienza, ogni personaggio trarrà tutto il bene che si può. Ciò che ne ho tratto io, è la lettura di un bel libro, che consiglio. Terrò d’occhio l’autore, speriamo in un secondo romanzo, all’altezza e, perché no?, perfino migliore del primo!

 

 

 

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Letto 1054 volte Ultima modifica il Lunedì, 21 Giugno 2021 10:04
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